Stretta in arrivo per i furbetti della Naspi: il Governo è intenzionato a dare un giro di vite, ecco cosa non si potrà più fare dal prossimo anno.
Cattive notizie per i cosiddetti “furbetti della Naspi”, l’indennità di disoccupazione riconosciuta dall’INPS riconosce a chi perde involontariamente il lavoro. Dal 2025 potrebbe diventare più difficile richiederla. Il Governo ha deciso di dare un giro di vite agli abusi con un emendamento dalla «finalità antielusiva», secondo le parole del Ministro del Lavoro Marina Calderone.
La stretta si trova infatti all’interno del pacchetto di emendamenti alla legge di Bilancio 2025 presentati dai relatori in Commissione bilancio alla Camera per aggirare l’opportunismo di quei datori di lavoro che si mettono d’accordo con i lavoratori per eludere quanto previsto dalla legge. Ecco cosa non si potrà più fare dal prossimo anno.
In sostanza dal 1° gennaio 2025 i lavoratori dipendenti che hanno rassegnato le dimissioni da un lavoro a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti e hanno poi trovato un nuovo impiego da cui sono stati licenziati potranno ottenere la Naspi soltanto se hanno maturato almeno 13 settimane di contributi nel nuovo lavoro.
L’obiettivo di questa norma è quello di colpire il fenomeno che vede datore di lavoro e dipendente per accordarsi nel rassegnare prima le dimissioni, poi per la riassunzione e infine per il licenziamento per fine contratto, il tutto nel giro di un anno. Questa rapida dinamica di dimissioni-rioccupazione-licenziamento è un furbesco escamotage che sfrutta una scappatoia legislativa per conseguire un vantaggio illecito.
In sostanza il Governo Meloni vuol mettere un freno agli “intrallazzi” con cui i lavoratori si fanno licenziare apposta per conseguire la Naspi. Il lavoratore avvezzo a svolgere lavori di breve durata può trovare conveniente questa pratica per maturare il diritto all’indennità di disoccupazione. Attualmente il lavoratore riceve l’assegno se si trova in stato di disoccupazione volontaria e con almeno 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti il licenziamento.
L’emendamento prevede comunque delle eccezioni al giro di vite. La stretta antielusiva non vale infatti in caso di ipotesi di dimissioni per giusta causa, così come per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro avviata nel contesto della procedura di conciliazione prevista per i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Stesso discorso per l’ipotesi di dimissioni nel periodo per cui è vietato il licenziamento, come previsto dal Testo unico di sostegno alla maternità e alla paternità.
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